Referenze

Daniela Sangiorgi e le stagioni della sua vita

Filomena Volpe

07.08.2022

La galleria che visito con esposte le opere di Daniela Sangiorgi è un fiume in piena di colori forti e brillanti.

Gialli intensi, verdi fluorescenti, blu cobalto, brillante e dalle tonalità fortemente acide, rossi

infuocati. Una cascata di nuance che travolge e ti attraversa. 

E quanto movimento! Linee curve, ondulate e continue concorrono a inondare di energia pura chi si ferma ad osservare le opere.

Folgorati da tanta energia cromatica e cinetica bisogna fare un respiro profondo e un passo indietro   per   ricominciare a guardare una alla volta le opere di quest’artista, dettaglio dopo dettaglio.

E allora, stranamente, i colori quasi passano in secondo piano, rapiti da quei doppi volti a sguardo   incrociato, quei corpi pieni, in posizione fetale e richiusi in teneri abbracci.   Corpi femminili per lo più, abbondanti e generosi.

E qui comincia la narrazione dell’artista. 

Volti, occhi profondi, fili che si intrecciano in un’intricata matassa di membra, di anime, come un cordone ombelicale, ben ancorato ma abbastanza lungo da lasciare libero il movimento. 

C’è una chiara evoluzione nelle opere di Daniela. All’inizio si ritrovano figure sole, con lo sguardo rivolto alla propria intimità, un volto diviso a metà, che è contemporaneamente frontale e di profilo, una dualità che è essenza stessa della figura ritratta, a mostrare le varie sfaccettature di una stessa personalità.

In un’opera si può scrutare l’interno del grembo materno con un feto che fluttua leggero. Un primo piano talmente zoomato dell’utero materno da richiedere un passo indietro per poter essere apprezzato.

Una forte enfasi è data al corpo dove sono evidenziati i seni, il ventre, le cosce, i fianchi e gli organi riproduttivi. Una figura che simboleggia la maternità e in generale la fecondità, come il trittico dove il corpo accenna i caratteri della maternità. Inevitabile non pensare   alle Veneri preistoriche, statuine propiziatorie in terracotta, avorio e osso ritrovate in   moltissimi   siti preistorici abitati dagli uomini del Paleolitico, dove i volti passavano in secondo piano, a volte solo accennati e non lavorati, ma dove gli attributi femminili erano   esagerati perché propiziassero la fertilità, la nascita, la progenie e, quindi, il prosieguo della vita. Tale simbologia era destinata tanto alla fertilità della donna quanto a quella della natura, simboleggiata dalla Dea Madre, la Madre Terra.

Simboli ancestrali sono anche le spirali, a ricordare il ciclo della vita, la ruota solare, l’energia vitale accentuata dall’uso dei colori caldi, rosso, giallo, arancione ricche di   energia.  E’ la narrazione del concetto di “vita” e della sua evoluzione.

Nelle opere successive troviamo due volti, spesso di profilo, due metà fuse insieme a ricordare i volti picassiani: sono gli sguardi di una madre e del suo bambino. 

E poi corpi in simbiosi, sguardi complici, un unico animo. Occhi che guardano, che scrutano, occhi “pensanti”, specchio dell’anima. Un’evoluzione che si ritrova anche nei volti: dall’individualità della donna alla dualità madre-figlio.

Una donna che non è solo generatrice ma che nel suo grembo accoglie e protegge, così come su di esso culla e avvolge con le sue braccia rassicuranti. Si ritrovano così in primo piano il volto di una madre in simbiosi con quello del suo bambino. 

E poi una donna nuova alla ricerca della sua femminilità, una donna-madre che è in cerca di se stessa, che indossa una veste nuova, è una donna ormai matura, nel corpo e nello spirito. 

Si assiste all’evoluzione dell’artista e della sua individualità. 

Questi occhi smisurati, che continuano a ritrovarsi in tutte le sue opere, sono un motivo constante, un guardarsi dentro e un guardare oltre, profondi e pronti a scrutare ogni capitolo della vita, ogni stagione della propria femminilità.

E infine un ritrovarsi. Le braccia si intrecciano, si protendono, si slanciano verso la sua metà, l’uomo che con lei ha condiviso tutto questo cammino, spesso in disparte e in silenzio ma sempre presente e attento. Qui un profilo solo accennato sbuca da un angolo a incrociare lo sguardo della sua compagna. Si ritrova lo stesso motivo del filo che unisce le loro anime, non più un cordone ombelicale ma un filo che si trasforma in un profondo abbraccio. Sono figure complementari, che si completano, complementari anche nei colori usati: blu, verde e viola. Colori freddi e intensi, che infondono pace e tranquillità.

Nelle opere più recenti in effetti sono cambiati i colori, non più tonalità calde che si ritrovano abbondanti nelle prime opere, ma tonalità scure e profonde. 

In alcune opere i colori intensi non ammettono sfumature e gradazioni intermedie, colori altamente saturi. L’energia del giallo, come quella solare, la passione e l’amore smisurato del rosso si sostituiscono con l’enigmaticità, la pace e la tranquillità del blu, con la calma   e l’equilibrio del verde. In alcune culture orientali, come il buddismo, il verde è simbolo di fertilità e di abbondanza ed è il colore che meglio di tutti rappresenta la vita: nella religione indù il verde è legato al chakra del cuore ed è quindi l’emblema dell’amore puro.

Un nuovo corpo, una nuova silhouette, una nuova armonia. Una nuova fase della vita.

Le ultime opere narrano di una donna ormai matura, le tonalità del blu esprimono sicurezza e consapevolezza di sé, la pace e la tranquillità ritrovata, la calma che la caratterizza anche quella che giunge a chi osserva le sue opere. Il blu notte qui vira anche verso il viola, in un blu notte con varie sfumature più chiare: la maturità permette sfumature nuove, non più rigidità della giovane età ma anche saggezza e maggiore elasticità. Nelle ultime opere si ritrovano solo colori primari: tanto blu, verde e rosso: da essi possono formarsi tutti gli altri colori così come da questa donna possono generarsi tutte le altre emozioni della vita.